Behind the visible. Paolo Bini

a cura di Ivan Quaroni
Antonio Borghese, Ivan Quaroni, 2015
Bilingual ediotion
Behind the visible. Paolo Bini: a cura di Ivan Quaroni
Publisher: ABC-ARTE Srl
Dimensions: 17x12 cm
Pages: 48
€ 10.00

 "La visione è l'arte di vedere cose invisibili".

(Jonhatan Swift)

 

Il punto di partenza è sempre un’immagine reale, prevalentemente un paesaggio, qualcosa di morfologicamente concreto, di esperibile e dunque condivisibile, che è successivamente ridotto alle sue componenti essenziali - struttura, colore, emozione.

 

L'astrazione è un processo filosofico, un procedimento mentale che consiste nell'isolare alcuni elementi, allontanandoli dal contesto. Il termine deriva dal latino abstrahĕre, che significa letteralmente "trarre via", cioè "portare fuori". In pittura, questo concetto indica un distanziamento dal modello di rappresentazione mimetica e naturalistica della realtà, un ripensamento del sistema percettivo che sposta l'attenzione dalla sfera sensoriale a quella mentale e sentimentale.

Nell'arte astratta la descrizione del mondo non è più, o non è solo, il prodotto di una sollecitazione ottica, ma diventa, piuttosto, il risultato di un'elaborazione intellettuale, ma anche pulsionale ed emotiva. Il mondo, cioè, è letteralmente filtrato dal soggetto percipiente e trasformato in qualcosa di diverso, in una struttura visiva sintetica, derivata dalla scomposizione e ricomposizione della realtà.

Questo è quanto accade nel linguaggio pittorico di Paolo Bini, artista che ha elaborato un originale metodo di lavoro, peraltro capace di conciliare l'analisi formale della realtà con il contenuto emotivo dell'immagine.

Il punto di partenza è sempre un'immagine reale, prevalentemente un paesaggio, qualcosa di morfologicamente concreto, di esperibile e dunque condivisibile, che è successivamente ridotto alle sue componenti essenziali - struttura, colore, emozione - e poi inserito in una struttura fondamentalmente cartesiana, composta di moduli di carta gommata affiancati a formare diagrammi verticali e orizzontali.

Ogni striscia è dipinta singolarmente e applicata sul supporto, sia esso una tela o una tavola, come se fosse l'elemento grammaticale di un discorso più ampio, il sintagma di un linguaggio che si costruisce a poco a poco, affiancando i moduli secondo un ordine preciso, fino a formare una superficie unitaria, una forma compiuta. Il risultato finale è il prodotto di una somma di operazioni che, a ben vedere, costituiscono una sintesi di linguaggi, dall'Astrazione lirica al Neo Geo, dal Minimalismo al Concettuale, passando per la pittura Informale e gestuale.

Paolo Bini concentra diversi approcci formali, accorcia le distanze tra attitudini un tempo contrapposte e crea, così, imprevedibili suture tra schemi geometrici e seriali e segni e gesti pittorici tesi verso la costruzione di un fitto reticolo di trame. Il pensiero corre inevitabilmente alle modulazioni reticolari di Piero Dorazio o di Mario Nigro, ma si avverte, fin da subito, che nel linguaggio di Bini il dialogo tra pittura e spazio si fa più stringente. Nel lavoro dell'artista, infatti, è presente una tensione plastica generata non solo dalla sovrapposizione dei nastri di carta adesiva, che muovono la superficie dell'opera fornendo all'immagine un'epidermide screziata e corrusca che altera la regolarità ritmica delle sequenze orizzontali e verticali, ma anche una propensione a trasgredire i perimetri tradizionali del quadro, attraverso interventi installativi che letteralmente estendono i suoi moduli pittorici in una dimensione oggettuale.

 

La sua potrebbe essere descritta come una forma lirica di pattern painting, ambiguamente sospesa tra il rigore logico dell'arte analitica e le esplosioni cromatiche e irrazionali dell'espressionismo astratto, ma anche come una sorta di piattaforma operativa, in cui s'incontrano, idealmente, le due principali linee d'indagine dell'arte aniconica del Novecento: quella fredda e razionale e quella calda ed emotiva. 

 

Al centro di tutto c'è il colore, che traduce la geografia emozionale dei paesaggi esperiti nei suoi numerosi viaggi attraverso tra il Mediterraneo, il Sud Africa o l'Europa continentale, in quella che sembra una stratificazione di memorie, una giustapposizione di strisce temporali che valgono come singoli ricordi, impressioni autonome che l'artista ricompone in una visione più ampia e complessa, in cui avvertiamo l'ambizione a cogliere qualcosa di più del semplice lascito emotivo di una percezione ottica. Dietro la linea d'orizzonte dei suoi landscape ricostruiti e tra i tracciati ortogonali delle sue visioni planari, si annida forse il più elusivo degli enigmi, quello che concerne l'interrogativo, mai risolto, intorno alla natura più profonda dell'uomo. E così, Bini trasforma l'esperienza della pittura non solo in uno strumento di sintesi tra le entità fenomeniche e i costrutti mentali, tra il mondo delle forme e quello dei concetti, ma anche in una soglia percettiva tra la realtà visibile e invisibile, tra la visione che filtra attraverso la retina e l'immagine che giunge, infine, alla mente e alla coscienza dell'osservatore.