IL MONOCROMO CHE FA STORIA: TOMAS RAJLICH DA ABC-ARTE A GENOVA

Matteo Galbiati, ESPOARTE, December 10, 2020

Intervista a MICHELE ROBECCHI e FLAMINIO GUALDONI

di Matteo Galbiati

 

Parafrasando un celebre romanzo storico di Marguerite Yourcenar, potremmo riassumere la bella antologica  di Tomas Rajlich (1940), che ABC-ARTE di Genova presenta fino al 7 gennaio, come “l’opera al nero” dell’artista che, negli anni Settanta ha intensamente indagato e approfondito le potenzialità espressive e le profondità di visione offerte dal colore nero.
In Black paintings: 1976-79, quindi, si approfondiscono i temi e i risultati conseguiti da Rajlich che, con coerenza, in quegli anni ribadiva il valore totale ed espressivamente inesauribile del monocromo, con opere di forte intensità che mettono in discussione la dimensione “ipotetica” del quadro. Le opere esposte nella galleria genovese fanno parte del nucleo originale di un progetto espositivo che, nel 1979, culminava con la mostra al Gemeentenmuseum a L’Aia, punto di arrivo della sua ricerca sulle qualità del “nero”.
Abbiamo intervistato i due critici che hanno seguito la mostra e la monografia, Michele Robecchi Flaminio Gualdoni:

 

Tomas Rajlich, Untitled, 1978, 70x120cm, acrylic on canvas Courtesy ABC-ARTE, Genova

 

 

Per questa pregevole mostra avete scelto di concentrarvi su opere storiche della seconda metà degli anni Settanta. Come si inseriscono nel percorso di ricerca di Tomas Rajlich? Che accento di esclusività e particolarità hanno?

Flaminio Gualdoni – Sono una esplorazione perfettamente congruente alla sua scelta del bianco come achrome, sulla scia di Manzoni, che in Rajlich ha tuttavia una valenza di distillazione di sensibilità cromatica. Il nero entra in questa logica, è un punto di saturazione cromatica: e luminosa, dal momento che uno dei suoi riferimenti fondativi è il “noir lumière” di Matisse.

 

In questo caso è il nero che domina: quale potenzialità e rilievo ha in sé il nero? Soprattutto pensando al segno pittorico tipico dell’artista…

Michele Robecchi – Si inseriscono all’interno di una lunga tradizione pittorica che vede l’esplorazione e la rappresentazione del nero come un momento di rivalutazione e ripartenza. 

Flaminio Gualdoni – Più ancora che nei quadri dominati dal bianco Tomas esplora il punto sensibile estremo di percezione luminosa, oltre che una dimensionalità che rivendica anche una sua specifica profondità, che devia dall’aspettativa ordinaria di superficie.

 

Tomas Rajlch. Black Paintings 1976-79, veduta della mostra, ABC-ARTE, Genova

 

In questa serie di lavori è importante l’aspetto modulare e la consonanza con le estetiche “industriali” di stampo minimalista. In quale contesto culturale e storico nascono questi lavori? A che esperienze guarda, si ispira o, semplicemente, si accosta Rajlich?

MR – Arrivano alla fine degli anni Settanta in un momento oggettivamente critico per la pittura e anche per l’arte contemporanea in generale. Nel catalogo della mostra al Gemeentemuseum, dove sono stati esposti per la prima volta in maniera completa nel luglio del 1979, si parla del tentativo dell’artista di rimescolare le carte nel rapporto superficie/immagine. 

FG – Certo, il clima è quello della Pittura Fondamentale, quindi la misura di un’oggettività inemotiva del fare. Ma Rajilich è profondamente europeo, la sorgività dei suoi gesti non è riduzione, è piuttosto un’interrogazione radicale.

 

Come si innesca il dialogo con l’osservatore? Che rapporto stabiliscono le opere nell’esperienza di chi le vede, allora come oggi?

FG – Allora l’impellenza del dibattito faceva privilegiare la lettura del “come”, e di tutto quello che Rajlich “non” faceva. Oggi, alla luce delle sue ultime serie straordinarie, si apprezza il suo cercare sempre piccole differenze, la sua pars construens, il costringere la luce e sapersi e a pronunciarsi. 

 

A posteriori come viene letto, criticamente e storicamente, questo ciclo di opere?

MR – Dando per scontato che trovo questo ciclo di lavori straordinariamente attuale, non sono in grado di offrire previsioni su come sarà ricevuto. La mia curiosità: sono curioso di sapere come verrà ricevuto. La storia di Rajlich sembra suggerire che il suo lavoro, nella sua coerenza e compattezza, è stato soggetto a diverse letture nel tempo, un’eventualità abbastanza ricorrente nell’arte contemporanea, dove spesso intenzioni e percezioni sono vulnerabili al momento storico in cui vengono attivate. 

FG – La cosa che mi diverte e interessa di più è che non sono lavori riducibili a uno slogan verbale. Occorre guardarli proprio, spogliare i propri occhi e non chiedere il soccorso delle parole.  

 

Tomas Rajlich, Untitled, 1976, 90x90cm, acrylic on canvas Courtesy ABC-ARTE, Genova

 

Cosa avete messo in luce nell’allestimento della mostra e come lo avete pensato? Cosa avete voluto favorire o mettere in risalto?

FG – Un amico cuoco mi ha insegnato che il segreto è scegliere ingredienti eccellenti e non rovinarli. Un allestimento è mettere i quadri in condizioni ottimali di lettura, senza fare vetrinistica. 

 

Quale provenienza hanno queste opere? L’artista e il suo archivio hanno collaborato a questo progetto con un ruolo definito?

FG – Rajlich partecipa sempre intensamente alla progettazione delle sue mostre, ha rigori maniacali per cui alla fine tutto, scelta ed esposizione e catalogo, trova un diapason qualitativo altissimo. Michele Robecchi è, l’ho sempre dichiarato, tra i critici più giovani di me uno dei pochissimi che stimo, e subito ha impresso alla mostra il suo passo non meno rigoroso, riflessivo, intellettualmente acuto, da studioso vero. Se, come Barnett Newman, “un artista dipinge per avere qualcosa da guardare”, anche per lo studioso lavorare a un progetto è trovare qualcosa da guardare, da pensare, da cui lasciarsi penetrare non solo intellettualmente.    

 

Come è strutturata e che contenuti ha la monografia pubblicata per l’occasione?

MR –  Abbiamo cercato di contestualizzare storicamente il lavoro, presentando due interpretazioni/ricostruzioni critiche che viaggiano su binari paralleli. Flaminio Gualdoni è stato il mio insegnante di Storia dell’Arte. Lavorare con lui, oltre che un onore, è per me una fonte di apprendimento oggi come allora. Complice anche il clima che stiamo vivendo, la pubblicazione ha assunto un ruolo ancora più fondamentale. Per me è importante che funzioni autonomamente, e che nel tempo diventi una valida fonte di ricerca per uno dei capitoli più interessanti nel lavoro di Rajlich. 

 

 

Tomas Rajlich. Black paintings: 1976-79
catalogo a cura di Michele Robecchi
con intervento critico di Flaminio Gualdoni