Principio d’indeterminazione – L’Astrazione dopo l’Astrazione.

Rivista Segno, Rivista Segno, May 24, 2016

 

 

Sei artisti della generazione del Millennio ripensano i codici della rappresentazione astratta invadendo lo spazio della galleria genovese attraverso una polisemia di segni e gesti, in bilico tra pittura espansa, scultura e installazione ambientale.

 

Principio d’indeterminazione indaga l’insorgere di una nuova sensibilità astratta e polisemica, che si esprime attraverso una pluralità di medium, dalla pittura alla scultura, fino all’installazione, in discontinuità con i codici dell’astrazione classica, sia essa geometrica, informale o analitica. Il curatore Ivan Quaroni ha individuato sei artisti, nati tra il 1979 e il 1987, che hanno sviluppato linguaggio prevalentemente aniconico, ma in taluni casi senza recidere completamente i rapporti con le grammatiche figurative. Ciò che distingue questo gruppo di artisti è, infatti, il riconoscimento della fondamentale ambiguità dei linguaggi visivi e, insieme, la definitiva archiviazione della dicotomia tra astrazione e figurazione, considerata come un retaggio del passato.

Nel 1986 il pittore americano Jonathan Lasker scrisse: “sto cercando il soggetto, non l’astrazione”. Lasker era convinto che l’Astrazione fosse morta con i Black Paintings di Frank Stella e perciò pensava che la pittura dovesse occuparsi di temi marginali e aleatori come la memoria, la presenza, la materialità, la trascendenza e la mescolanza di arte alta e bassa. Oltre a questi temi, oggi tutt’altro che marginali, nella post-astrazione deiMillennials, plasmata dall’aumento esponenziale delle tecnologie informatiche e digitali, è altrettanto importante la riflessione sul ruolo dell’individuo nel processo di produzione e di fruizione delle immagini.

La questione dei modi e dei tempi di percezione della pittura (ma anche della scultura e dell’installazione), già centrale nelle ricerche delle avanguardie del Gruppo Zero e di Azimut e poi approfondita nelle esperienze dei pittori analitici degli anni Settanta, è affrontata anche dagli artisti presenti in questa mostra, pur in una variegata pletora di soluzioni espressive, dalle quali peraltro emerge come fattore distintivo l’ineludibile segno delle esperienze individuali.

Il titolo Principio d’indeterminazione, che allude alle conseguenze epistemologiche della teoria fisica di Heisemberg nel comparto delle ricerche scientifiche, diventa qui il pretesto per sottolineare la radicale soggettività delle indagini artistiche della Y Generation e, allo stesso tempo, per rimarcare come tale soggettività si esprima sempre più liberamente fuori dai perimetri codificati, in una dimensione sintattica aleatoria e oscillante, ambigua e indeterminata.

Paolo Bini (Battipaglia, 1984), traduce paesaggi fisici e mentali in sintagmi cromatici astratti, costruiti secondo l’unità del pixel e nel tempo scandito dallo scanner o dal plotter. L’artista dipinge, infatti, su nastri di carta, che poi monta su tavole e tele (ma anche su superfici murarie) per ottenere immagini caratterizzate da una parallela partizione ritmica e cromatica delle superfici. Attraverso dipinti, installazioni e pitto-sculture, Bini costruisce una personale variante lirica di pattern painting in cui coesistono il rigore della geometria e l’urgenza gestuale dell’espressionismo astratto. Ispirata a forme fitomorfe e anatomorfe è la pittura di Isabella Nazzarri(Livorno, 1987), che attraverso un alfabeto organico in continua mutazione esprime memorie, intuizioni e immagini mentali altrimenti inafferrabili. L’artista prende spunto dalla struttura classificatoria delle tavole anatomiche e degli erbari per costruire una grammatica di pittogrammi evocativi e fluttuanti, nati dall’incrocio di costrutti mentali e morfologie naturali. Per l’occasione, Nazzarri ha realizzato un grande dipinto murale sul soffitto di una sala della galleria, una concentrica e proliferante genesi di organismi alieni, che riecheggiano anche nelle codificate forme dei suoi grandi dipinti su tela e dei suoi acquarelli su carta. La ricerca di Matteo Negri (San Donato Milanese, 1982) si concentra sull’utilizzo di materiali plastici che lavora in modo eclettico, passando dalla pietra alla ceramica, dal metallo alla resina, usando forme e colori pop per raggiungere un’immediata efficacia espressiva. La sua variegata produzione ruota attorno alla scissione tra forma e significato, creando un cortocircuito tra i contenuti estetici e i materiali utilizzati. E’ il caso dei Kamigami Box, grandi scatole irregolari in cui le superfici interne di acciaio specchiante riflettono all’infinito le costruzioni di Lego poste sulla base del solido, dando l’impressione di uno sterminato conglomerato urbano. Oltre a un inedito Kamigami, l’artista espone un mobile, un contenitore nei cui cassetti sono riposte piccole e sorprendenti opere. La disamina dei meccanismi di creazione e fruizione dell’immagine è al centro del lavoro di Patrick Tabarelli (Verona, 1979). Le sue opere sono, infatti, caratterizzate da un’ambiguità formale che induce nello spettatore una sorta d’incertezza percettiva. Nei suoi dipinti la superficie appare piatta, quasi digitale, oppure percorsa da oscillazioni dinamiche e minimali che contraddicono l’origine gestuale della sua pittura. Recentemente la sua ricerca si è concentrata sulla costruzione di drawing machine, hardware e software artigianali capaci di produrre superfici pittoriche che sembrano dipinte a mano e che, quindi, rimarcano ulteriormente l’ambiguità processuale nei rapporti tra autore e opera. Viviana Valla (Voghera, 1986) rielabora il linguaggio dell’astrazione geometrica attraverso l’utilizzo di materiali non convenzionali, come carte di recupero, post-it, scotch e frammenti d’immagini stampate, che si riferiscono a una dimensione intima e formano un diario visivo enigmatico e sibillino. Le sue composizioni, parzialmente celate da varie stesure di gesso acrilico, assumono la forma di strutture geometriche di una monocromia imperfetta, in cui campiture definite si alternano a superfici dove il colore si dissolve in pennellate e moduli frammentari. Giulio Zanet(Colleretto Castelnuovo, 1984) documenta momenti dell’esistenza quotidiana, riflessioni e considerazioni sulla natura dell’esperienza senza mai ricorrere a forme riconoscibili ed evitando ogni approccio narrativo. Il suo è un linguaggio pittorico basato su un processo di astrazione formale, che ammette l’impossibilità di oggettivare pensieri e emozioni. Le sue opere contengono, infatti, sagome incerte, tronche, ripetitive, dove la forma chiusa del motivo decorativo si fonde con una sintassi libera e gestuale, scabra e imperfetta che trovano nel precario equilibro tra norma e trasgressione un vitalissimo slancio espressivo. Tra le opere in mostra, molte sono quelle che trasgrediscono la struttura del quadro, invadendo le pareti e i pavimenti della galleria come frammenti di una pittura espansa che trova nello spazio ambientale il suo luogo d’elezione.

Principio di indeterminazione

L’Astrazione dopo l’Astrazione

14 Giugno – 23 Settembre 2016

ABC-ARTE

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