FINO AL 28.IV.2017 BERNARD AUBERTIN, SITUAZIONE PITTORICA DEL ROSSO ABC ARTE, GENOVA

Andrea Rossetti, Exibart, Aprile 13, 2017

 

Andrea Rossetti

 

 

«Non è un'antologica, una galleria privata non deve farne». Si è appena seduto e subito mette in chiaro la sua linea di pensiero Flaminio Gualdoni, che da curatore presenta Situazione pittorica del rosso, mostra dedicata alla mai abbastanza approfondita figura di Bernard Aubertin (Fontenay-aux-Roses, 1934; Reutlingen, 2015). Un artista le cui opere, continua il curatore, «all'epoca "spaccavano", oggi sono diventate dei classici», ratificando la presenza di un gap tempo-generazionale che chiede d'essere urgentemente contestualizzato. 
Innanzitutto quando. Quando un classico contemporaneo poteva risultare appetibile per giovani che riuscivano a campare anche senza un solo "mi piace"? Accadeva qualche decennio addietro, più o meno a ridosso tra i Sessanta e i Settanta, periodo storico su cui si concentra la mostra; alcuni anni dopo l'incontro di Aubertin con Yves Klein - nientemeno che suo vicino di casa - e la subitanea folgorazione del primo per la pittura monocroma del secondo. Se Klein però era di un pausato e freddo blu, Aubertin scelse l'inquieto ed energico rosso per meglio rappresentare il suo carattere pieno di vita, declinandolo - da inarrestabile eclettico - in molteplici formulazioni espressive. Dalla pittura ad olio ai mixed media più arditi, fino a comprendere azioni performative e collettive connotate come veri e propri happening, la Situazione pittorica del rosso di Aubertin si veicolava con una certa malleabilità formale.
 
Bernard Aubertin - Dessin de feu - 1974 - fiammiferi bruciati su cartone - cm 45x50 - courtesy Abc Arte
 
Le sorti storico-critiche dei due vicini di casa presero tuttavia strade diametralmente opposte, e questo al netto dei loro meriti artistici. Klein ebbe gran fortuna (non serve aver ingurgitato interi libri di storia dell'arte contemporanea per averlo almeno sentito nominare), Aubertin meno, misconosciuto a cominciare dai suoi stessi connazionali che «non lo hanno mai considerato» racconta Dominique Stella, presente al fianco di Gualdoni col ruolo di critical contributor. Boicottato pure da chi tra la fine degli anni Cinquanta e i primi Sessanta aveva il potere di fare il bello e il cattivo tempo nell'arte contemporanea, da un certo Pierre Restany che, continua la Stella, «non lo volle tra gli artisti del Nouveau Réalisme poiché pensava potesse far ombra a Klein, di monocromo ce n'era uno solo». 
Ma come operava Aubertin? Con intransigenza, non permettendo che le sue opere scindessero le loro soluzioni estetiche dalle sue azioni primarie. Esempio sono i Tableaux clous, pannelli in compensato chiodati e ricoperti da un acrilico rosso cui non sfugge nulla, schegge accidentali comprese. Modelli di una monocromia tutt'altro che semplice, dove il rosso - raddoppiando la sua potenza - diviene il soggetto tonale di una sinestesia fisica, pungente alla vista allo stesso modo che al tatto. Giusto, se non proprio indispensabile, per la mostra dedicare un intero spazio a questa serie, che da sola riprova quanto la validità del rosso sia già migrata da "colore" a stabilita "situazione pittorica"; e in secondo luogo documenta come la ricerca artistica di Aubertin maturi un indipendenza compositiva entro quelle aree chiodate, che se nei Tableaux clous del '68 sviluppavano alcuni gradi d'incertezza, già tre o quattro anni più tardi si erano fatte portatrici d'una più avveduta precisione ritmica. L'unico cruccio? Non poter visionare il retro di nessun Tableaux. 
Per sua stessa ammissione, Aubertin desiderava che lo spettatore «non intendesse come un'opera compiuta ciò che non è che un momento di pittura». Poche parole quasi buttate lì, ma in grado di restituire movimento creativo persino all'olio in minime concavità seriali di un Monochrome rouge; attraverso cui le miriadi di fiammiferi dei Dessin de feu si riappropriano di un valore performativo ben più fondamentale del loro effettivo hic et nunc, là dove ai posteri restano le loro strutture regolari, i luccichii della colla utilizzata per applicarli al cartone, i segni bruni lasciati dalle fiamme. Un rosso momentaneo, destinato alla concettualità totale della sua - mediamente impropria - condizione post-performance; rispetto alla quale la mostra concede un escamotage, la presenza del brevissimo video in cui un giovane Aubertin anima di fuoco i suoi Dessin. Non sarà un'antologica, ma va benissimo così.

 

Andrea Rossetti