Carlo Nangeroni

Serena Ribaudo, Rivista Segno, Febbraio 1, 2019

 

 

 

Il dominio della luce, ampiamo mostra dedicata a Carlo Nangeroni, dispiefa dinanzi agli occhi del fruitore un fondamentale nucleo di opere che testimoniano lo sviluppo di una cifra assolutamente precipua e che inverano il singolare linguaggio astratto basato su modulazioni ritmiche e luminose di figure circolari. IL percorso qui costruito aduna lavori degli anni Sessanta e Settanta, andando a stigmatizzare la vocazione ed il carattere di un artista raffinato, il cui spirito originale viene permeato dalle suggestioni avanguardistiche del dopoguerra rra new York e Milano.

 

Il dominio della luce rintraccia quello che è il momento di massima creatività di Nangeroni, quello in cui si determina il paradigma del suo fare pittorico in un esemplare slancio immaginativo che riviene nella luce la sua sostanza e nello stesso Nangeroni, "dipingere è dipingere prima di tutto, quindi non è progettare la pittura".

 

Nato a New york nel 1922 da genitori italiani emigrati negli Stati Uniti, dove vive i primi anni della sua infanzia, Carlo Nangeroni si trasferisce a Milano nel 1926 per compiere gli studi. Tra il 1938 ed il 1942 frequenta la Scuola Superiore di Arte Cristiana Beato Angelico di Milano e, contemporaneamente, i corsi serali di pittura dell' Accademia di Brera tenuti da Mauro Reggiani, che nel 1934 fu firmatario del primo manifesto dell'arte astratta italiana. 

 

Nel 1946 ritorna a new York per rimanervi fino al 1958. Gli anni del soggiorno newyorchese sono forieri d'incontri con artisti come Fitz Glarner, Oscar Kokoshka, Conrad Marca-Relli, Philip Guston, Willelm De Kooning, Jackson Pollock, Franz Kline, e soprattutto Alexander Archipenko, del cui studio è un assiduo frequentatore.

 

Dal 1951 al 1958 inoltre lavora per la N.B.C. curando scenografie di spettacoli treatrali e opere liriche e nel frattempo continua a dipingere, influenzato dai modi dell' Action Painting.


Con il suo ritorno a Milano nel 1958 il suo linguaggio, a contatto con Fontana, Dova, Scanavino e altri concretisti italiani, si indirizza verso una composizione icastica e costruttiva: figure astratte ed elementari danzano realizzando una fascinosa tessitura in cui si fondono luce, colore e musicalità. Le iterazioni ritmico-armoniche delle sue geometrie si trasformano ben presto in diagrammi popolati di figure circolari, strutture in cui le circonferenze razionalizzate entro griglie cartesiane, divengono logos, divengono centro vitale nella sua pittura in una singolare tensione estetica. 

 

 

 

Serena Ribaudo