ABSOLUTE PAINTING. Giorgio GRIFFA, Tomas RAJLICH, Zerry ZENIUK

video della mostra curata da Flaminio Gualdoni. Video di Davide Bertola
Maggio 3, 2019

Giorgio GRIFFA, Tomas RAJLICH, Zerry ZENIUK | ABSOLUTE PAINTING

 

Il proposito dell’iniziativa consiste nel leggere, attraverso alcune delle loro opere chiave, i percorsi paralleli di artisti che sono stati protagonisti delle esperienze ormai storiche della Fundamental Painting e della pittura radicale, e nel coglierne gli aspetti successivi di proiezione concettuale e operativa in chiave di Pitture assolute.

 

Gli artisti documentati nel progetto sono Giorgio Griffa (1936), Tomas Rajlich (1940) e Jerry Zeniuk (1945), esempi eloquenti di un atteggiamento che ha travalicato le cronache artistiche di quegli anni per farsi, negli sviluppi sino a quelli odierni, esperienza singolare e, nel senso più pieno del termine, definitiva.

 

A metà degli anni settanta, in Europa occidentale, sia pittori che curatori hanno nutrito un grande interesse per le correnti della pittura analitica. Questo interesse condiviso era già “nell’aria” da tempo, e non poteva considerarsi “caduto dal cielo”, come ebbe a scrivere nel 1975 Rini Dippel, curatrice del Stedelijk Museum ad Amsterdam, nell’introduzione al catalogo della mostra d’avanguardia Pittura Fondamentale. La mostra aspirava a dare un chiaro se non esauriente panorama di questa “nuova vita della pittura”, una forma d’arte così tante volte dichiarata morta sino ad allora. Prendeva forma intorno al lavoro di Robert Ryman e degli altri tre pittori del Minimalismo americano, annoverando lavori di Tomas Rajlich e Jerry Zeniuk (che più tardi si convertì alla Pittura Radicale). In particolare, cercò di distinguere questa corrente così peculiare, nata a cavallo tra gli anni sessanta e gli anni settanta, dal più amplio contesto della pittura analitica proposta nell’ambito di numerose mostre contemporanee per lo più di fattura e partecipazione italiana, tra cui emerge Giorgio Griffa. Solo in seguito, i curatori cominciarono a tentare di differenziare specifiche correnti all’interno della pittura non-oggettiva europea degli anni settanta.

 

L’affinità di base è la fedeltà alla pittura nella sua essenza specifica di medium, il sottrarsi a ogni teoricismo per assettarsi in un grado di mentalizzazione e di concentrazione operativa alto e agguerrito.

 

L’esperienza critica della pittura nell’atto stesso del fare pittura, libero ormai da ogni zavorra disciplinare, mira a distillarne e ritrovarne l’identità sorgiva, il grado di autonoma, indefinita ma precisa, flagranza. Essa è l’assoluto, o meglio un’idea di assolutezza che costeggia umori filosofici senza farsene portavoce, condizione snudata in una interrogatività che giunge far risuonare una sorta di diapason interno, totalmente irrelato, del dipinto.