Semplice non è semplicistico

di Milovan Farronato

 

Sbattere contro una parete e trascinarsi contro un muro. Il muro del pianto o delle lamentazioni. Parlare al muro oppure mettere al muro. I muri parlano e i muri hanno anche le orecchie. Fare muro o, diversamente, fare un muro di gomma. Monica Bonvicini nel 1995 in Wallfuckin' mostra una donna copulare con una parete: la sua identità non è rilevante, il volto è al di fuori dell'inquadratura. Il rapporto, di natura non alloerotica di certo, si compie tra la rigida struttura architettonica, storicamente e pragmaticamente riconosciuta come maschile, e il corpo femminile come luogo di contestazione politica e sessuale. Anche in Hammering Out (an Old Argument) (1998), sempre di Bonvicini, osserviamo le mani di una donna mentre prende a martellate una porzione di parete rivelando come al di sotto del primo strato ve ne sia un secondo. Anche Dara Friedman nel video Total (1997) procura lacerazioni a un'intera stanza cercando attraverso l'espediente del reverse di ricomporla dopo averla faticosamente messa a nudo. Qualche decennio prima, nel '74, Bruce Nauman realizzava Body Pressure: l'osservatore /performer era inviato ad aderire con il proprio corpo a una parete simulata, percepire la tensione dei muscoli, l'attrito della pelle fino idealmente al posizionamento dei peli; l'insorgere degli odori e l'effetto del respiro in questo tentativo di aderenza totale. “Questo può diventare un esercizio decisamente erotico”: suggeriva la frase conclusiva delle sue istruzioni per l'uso.

 

Nella serie Black Painting Mauro Vignando (convengo non si tratti di pareti e tuttavia mi sento di inquadrare laquestioneluogo il filo di questi riferimenti) esegue quadri di grandi dimensioni, non propriamente monocromi poiché parte della pellicola pittorica è stata debitamente rimossa con atto quasi vandalico. Dipinti neri, di un nero omogeneo che assorbe la luce, pareti simulate dove viene trattenuto, condensato, e cristallizzato un gesto semplice. Vignando prende letteralmente a spallate il suo dipinto per imprimere la traccia autobiografica del suo passaggio; per rimarcare la sua firma corporea. Inficia il dipinto? O compie la sua rappresentazione? In definitiva credo lo lasci volutamente in bilico tra pura astrazione e tentativo di figurazione. Entrambe importanti, entrambe caratterizzanti e imprescindibili. É un gesto, non un'immagine. Un'azione circoscritta e contenuta che non genera uno sprofondamento della tela, ma gentilmente accarezza la superficie, producendo la sensazione di un rendez-vous ruvido. È lui, e non un altro. È lui spesso ripetute volte, sempre alla stessa altezza, talvolta coinvolgendo anche il gomito per rimarcare l'impronta, per segnalare, con convinzione, l'avvenuta collisione con la sua opera, che solo in quel momento è stata portata a compimento. Anche Prem Sahib nella sua serie Wet Painting realizza i dipinti per apparente sottrazione. Per lui si tratta della deposizione lenticolare di gocce di resina trasparente su pannelli d'acciaio, ricoperti integralmente a parte l'area circoscritta dove, in negativo, si manifesta un'impressione. Una simulazione quasi-pittorica di finestre appannate dalla condensa dove una mano, forse, si è fatta largo per tentare di vedere altrove; o dove un corpo è transitato depositando la sua silhouette, forse perché compresso da un abbraccio furtivo. Vive in entrambi una sorta di melanconico romanticismo: orma , impronta , memoria. E torna alla mente uno dei miti più antichi sull'origine della pittura: la storia raccontata da Plinio il Vecchio nel suo Naturalis Historia della giovane Dibutade, figlia di un vasaio di Corinto che per conservare la figura del suo amato, un soldato in partenza per la guerra, avrebbe ricalcato sul muro la sagoma della sua ombra proiettata da una luce. Il padre che la spiava mentre definiva per sempre un'immagine mentale e fisica intuì così la possibilità del rilievo. La circumductio umbrae lega indissolubilmente il ritratto alla funzione di ricreare la presenza di una persona (che con ogni probabilità non tornerà più , almeno come era in quel momento).

 

In principio per Vignando è spesso un gesto semplice ma dotato di una sua carica epica, quasi eroica. Anche i recenti collage nascono dalla scoperta fortuita di un semplice ingranaggio capace di realizzare tagli circolari perfetti congiuntamente alla volontà di produrre opere limitando e semplificando le azioni, contenendo il gesto. Una collezione fanée di cartoline accumulate nel corso del tempo, spesso, quando possibile, in duplice copia, diventa la base per uno studio sul movimento e l'ambiguità. Le immagini sono catalogate in base a tipologie ricorrenti: prospettive centrali, figure religiose, architetture, en plein air (fontane o parchi) , sculture classiche e cattedrali. E poi una serie cospicua di ritratti di attori provenenti prevalentemente da un Olimpo minore. Certo, si manifesta anche l'intramontabile Merilyn, ma con maggior frequenza vengono manipolate le fisionomie e le azioni di dive e divi dimenticati e così sottratti, per un'ultima comparsata, all'amnesia collettiva: Rosalind Russell, Lilli Minas, Maureen O'Hara, Rossano Brazzi, Andrea Checchi, Isa Miranda, Paola Barbara, Sonya Henie... Anche gli interventi che vengono compiuti sulla superficie rispondono a un protocollo d'azione ben calibrato. Non c'è improvvisazione. Forse c'è stata all'inizio, ma ben presto la memoria conscia ma sopratutto quella inconscia hanno iniziato a giocare un ruolo dominante, a definire un modus operanti rigoroso. Spesso abbinati in dittico i ritratti si compiono per mutuo soccorso. Quello che viene sottratto da una parte è donato all'altra e ciò che manca nella prima è rimpiazzato da ciò che sarebbe stato occultato nella seconda. E se il ritratto è in duplice copia la manipolazione diventa più stratificata. I tagli si moltiplicano e la composizione diventa più articolata. Il prestito tra le due immagini gemellari più serrato. Nel primo caso si crea l'effetto bizzarro di un ritratto verosimile ma irreale. (Pertinente sarebbe usare l'espressione, troppo abusata, di spiazzamento ). Mentre nel secondo caso troneggia il senso di una delocazione: il ritratto si pietrifica in movimento. La verosimiglianza rimane così come l'anomalia, ma i tratti per assurdo si irrigidiscono, le figure diventano tetragone. Il senso rotatorio prevale, l'immagine piomba nell'abisso della sua parcellizzata ripetizione.

 

Ulteriore gesto semplice e decisamente epico è anche quello contenuto in potenza nella scultura Il piedistallo per l'ultima sigaretta, che è esattamente ciò che il titolo descrive: un plinto dai lati spigolosi (per suggerire, immagino, il senso di un velato pericolo) alto quanto una qualsivoglia mano potrebbe allungarsi per raggiungerlo senza fatica e depositare sulla sua sommità, perfettamente predisposta alla ricezione, l'ultima, famigerata sigaretta. Più semplice di così si muore e tuttavia la scultura resta aperta a varie circonvoluzioni di senso e interpretazione: un monumento? Un monumento ai caduti? Al tempo che fugge? All'autolesionismo? Alla necessità di prendere una posizione, di avere un solo volto e una sola parola? O l'opposto, l'ultima sigaretta di Zeno, e la possibilità di tornare sempre sui propri passi (infondo il piedistallo sopravvive con o senza li lei)? E insieme a questi quesiti la complessità di un'opera che è principalmente un dispositivo. Stessa complessità per l'altrettanto semplice crocefisso risucchiato in un angolo (quello del castigo?). Anche questa semplicistica (in questo caso) descrizione sarebbe comunque abbastanza valevole per offrire un immediato visual a Untitled (2015). Il piano ortogonale della parete (parte integrante, a sua insaputa, dell'opera) supporta nello spigolo vivo un crocefisso di 240 x 60 x 60 cm. Il corpo e il suo mistero è risucchiato nel muro e a manifestarsi come un'immagine Rorschach, con tutte le sue implicazioni, solo le due braccia perfettamente simmetriche. Anche in questo caso a sopravvivere è il display: la croce che finisce all'angolo.

 

 

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All That's Missing Is You, prima personale di Mauro Vignando in ABC-ARTE con la curatela di Milovan Farronato, documenta i quesiti su cui l'artista dialoga in stretto rapporto con l'osservatore, tramite una vera e propria rappresentazione in bilico tra pura astrazione e tentativo di figurazione. 

 

Il titolo della mostra e le opere esposte fanno eco ad una serie di riflessioni nei confronti della crisi attuale che privando ogni cosa di un senso apparente, pare inaridire il vissuto quotidiano ed i valori della società. 

 

Nelle serie inedita di tele intitolata Black Painting, Mauro Vignando con un semplice gesto imprime la sua firma “corporea”, una firma autentica, la firma stessa dell'artista: i grandi monocromi neri infatti contengono la traccia dell'incontro fisico con l'artista, il quale con la propria spalla ha volontariamente sottratto parte della pellicola pittorica portando con sé parte del dipinto.

 

L'artista si domanda, ad esempio, se la sparizione del soggetto sia capace di generare un'immagine o se lo smarrimento dovuto ad una perdita, che sia di un affetto o di un oggetto materiale, possa emancipare il paesaggio retrostante liberandolo dal compito di essere un semplice sfondo.

 

Il paradigma di questa riflessione è rappresentato dalle opere Il piedistallo per l'ultima sigaretta e dalla grande croce in legno Untitled, in cui l'assenza quasi totale del soggetto genera nell'osservatore un senso di vuoto e spiazzamento.

 

Tra le altre opere in mostra, viene presentata anche una serie di nuovi lavori su doppie cartoline, Postcards, quali ritratti di personalità minori dello spettacolo, paesaggi, architetture, tutte identiche in origine, statiche ed imbolsite le quali tramite uno speciale trattamento quasi meccanico di tagli e sostituzioni di parti, divengono dinamiche e narrative, ironiche o paradossali: doppioni di una realtà parallela che si sovrappongono con forza all'immagine originaria e paiono volerla cancellare dalla nostra memoria.

 

Antonio Borghese

Head consultant & director, ABC-ARTE

 

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