FINO AL 30.III.2018 LUCA SERRA, AŇIL ABC-ARTE, GENOVA

Andrea Rossetti, Exibart, March 11, 2018

 Viene dalla Spagna ma è italianissimo, bolognese classe 1965; tra i suoi bagagli ha stipato una combine di qualità tecniche ed elaborazioni visuali che sfida la categoria internazionale "figli di Jackson Pollock”, l'assoluto campione in carica se si pensa alla pittura come massima estensione del corpo a corpo artista-tela. Voce fuori dal coro dell'espressionismo astratto, grazie a Luca Serra abbiamo scoperto che è possibile creare qualcosa di vagamente assimilabile all'action painting, eliminando però proprio il diretto intervento del comparto "action”. L'importante è farsi carico di un metodo peculiare, di quelli che ti fanno capire come per le argute menti italiane nulla sia impossibile. Perché se la globalizzazione dei costumi espressivi ha fatto prolificare esponenzialmente Pollock, noi italiani sotto sotto siamo sempre un po' eredi dell'ingegno di papà Leonardo, magari non tutti con la stessa evidenza. 

 
L'informale per Serra è una fake action sulla gestualità, un meccanismo produttivo che si districa tra studio dei processi, accidentalità finalizzante ed invasioni di campo nella razionalità dell'astrazione post pittorica, sulla scia di Clyfford Still. Serra, che ad essere precisi considera il proprio lavoro principalmente «scultoreo», parte dal catrame, base sulla quale stende a proprio piacimento acrilici e polveri; la pittura arriva dopo, quando ha già cosparso tele e fogli in carta di una resina acrilica, che a contatto con la superficie pitto-scultorea in catrame rilascia l'impressione pittorica sulla tela stessa. Inutile raccontarsela: l'espressionismo gestuale percepibile nelle superfici resinose/pigmentate scavate da solchi incontrollati, a volte palesati al primo colpo ed altre perfetti per uscire in situazioni di luce radente, così come quel nero che con la stessa incostanza arriva in superficie sporcando l'insieme pittorico, sono situazioni che rendono ogni lavoro di Serra tanto vero quanto falso. Esiste, è testimoniato a tutti gli effetti, ma non l'ha interamente creato l'artista, o meglio, non l'ha voluto per forza così com'è. Un meccanismo esemplificato dalle sue stesse parole: «lavoro alla cieca, ma fino ad un certo punto», poi prosegue «inizio un processo, ma questo è autonomo», fin quando infine chiosa saggiamente «il mio lavoro è una parafrasi della vita, dove non è detto che vada come previsto». La più grande provocazione maturata da Serra è forse quella di rimisurare la distanza opera-artista rendendo la gestualità un'attitudine concettuale; di creare perciò un proprio metodo inserendo una pausa estranea al pensiero espressionista, tra la fase ideativo creativa e la finalità artistica. Una pausa che meccanizza la sintassi informale, imponendo all'artista di lavorare alla rovescia rispetto al prodotto finale, come per i processi d'incisione. 
 
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Luca Serra – Remedio para todos los males – 2017 – cm 125x125 – resina acrilica, acrilico e polveri su tela
 
La tecnica a stampa è il primo termine di paragone che ci viene in mente, soprattutto nei lavori su carta dal perimetro segnato come solo una matrice calcografica potrebbe; lui si rivela su un'altra lunghezza d'onda, più poetico e sorprendente dicendo «più che altro lo strappo di affreschi», aggiungendo poi «ma ci si possono vedere molte tecniche, anche la fotografia se si tiene conto che il mio lavoro prevede reazioni tra elementi». Reazioni chimiche che se per un verso modificano le scelte artistiche di Serra, il quale rivela «faccio molta sperimentazione sui materiali, poi porto avanti ciò che tecnicamente funziona», dall'altro tentano un superamento dell'estetismo artistico. Da artista è il primo a non nascondere la testa sotto la sabbia proprio poiché «nell'arte esiste sempre una componente estetica» afferma convinto, con la personale che lancia chiari segnali in merito presentando il panoramico polittico Perspectiva 181, attrattivo a cominciare dal suo impattante ritmo compositivo-cromatico. Sembra una mossa insensata oltrepassare l'estetismo pittorico proprio grazie al colore, che tra l'altro in quest'ultima produzione di Serra è quasi sempre intenso, prorompente come il bell'indaco che intitola l'intera personale o il rosso corposo, riportato come suggestione-citazione ispirata ai tetti del paesino andaluso in cui risiede, visto che «nella pittura», dice, «devo inserire ciò che mi colpisce, me ne devo appropriare». 
 
In quale modo uscire da questo cul de sac dell'estetismo? Stimolando il lato estetico-emotivo di materiali nati per scopi estranei all'arte, desunti dall'edilizia (l'indaco è il pigmento usato per l'imbiancatura a calce, mentre il rosso un collante per piastrelle); da una quotidianità lavorativa che rende i lavori di Serra non solo belli da vedere, ma anche parte di un informale oltre che ispirato alla realtà - «il blu» aggiunge in proposito «è il colore del mediterraneo, lo caratterizza» - inserito completamente in essa.
 
Andrea Rossetti