INTERVISTA A TOMAS RAJLICH, by Simona Squadrito, ATP Diary

Simona Squadrito, ATP Diary, Settembre 26, 2020

Intervista a Tomas Rajlich

 
 
Tomas Rajlich, Untitled (tryptich), 1986, var. dimensions, acrylic on canvas
 

 

"Ad Reinhardt negli anni Cinquanta ha scritto che 'l'arte è arte e tutto il resto è tutto il resto'. Questa affermazione, secondo me, riassume ancora perfettamente la situazione artistica odierna"

 

Sabato 12 settembre nel cortile di Villa Brivio di Nova Milanese ha inaugurato il 61° Premio Internazionale Bugatti-Segantini. Questa prima tappa della  kermesse annuale dedicata all'arte  ha visto la premiazione e l'inaugurazione della mostra di Tomas Rajlich. Opere 1972-2018 curata dallo storico dell'arte e critico Flaminio Gualdoni, che scrive nel catalogo monografico edito per la mostra:  «Dalla fine del decennio sessanta Tomas Rajlich diviene una delle figure di riferimento della vicenda pittorica. […] Pittura fondamentale, cioè rastremata ai propri modi primi, agguerritamente concentrata nell'analisi e nello scrutinio delle radici stesse del proprio consistere in quanto pittura»

 

 

Simona Squadrito: Lei è il vincitore della 61ª edizione del Premio Internazionale Bugatti-Segantini. Come ha accolto la notizia? Conosceva già questa longeva manifestazione artista italiana?

Tomas Rajlich: Sono molto onorato di aver ricevuto il Premio Internazionale Bugatti-Segantini come riconoscimento del lavoro di una vita intera, mi ha fatto molto piacere ricevere la notizia da Antonio Borghese, il gallerista della ABC-ARTE di Genova, anche se, lo ammetto, non conoscevo questa manifestazione.

 

S.S: Nel 1969 a seguito dell'invasione sovietica della Cecoslovacchia, Paese che le ha dato i natali, si trasferì in Olanda dove ha poi vissuto per circa quarant'anni.Vuole raccontarci qualcosa di quel periodo della sua vita? E' stato semplice lasciare la Cecoslovacchia?

T.R: Non è mai facile lasciare il proprio Paese, ma ci sono situazioni in cui è necessario farlo. Nel 1969, un anno dopo l'invasione sovietica, i Paesi Bassi furono l'ultimo paese europeo ad accettare gli immigrati provenienti dal blocco orientale. In quelle sfortunate circostanze ciò ha rappresentato la nostra fortuna. I Paesi Bassi hanno storicamente un'incredibile vicenda pittorica e sono diventati la nostra nuova patria per i successivi quattro decenni. Proprio in quegli anni l'Olanda ospitava numerosi artisti importanti come ad esempio Jan Schoonhoven e herman de vries. Qui, il mio lavoro è stato da subito capito ed è stato grazie ai loro sforzi che, solo dopo pochi mesi di lavoro alle pulizie delle petroliere nel porto di Rotterdam, ho potuto riprendere e continuare il mio percorso artistico. Sono stato assegnato alla posizione di assistente presso la Vrije Academie dell'Aia e in poco tempo sono diventato un docente.

 

S.S: L'italia da subito ha apprezzato la sua ricerca, sono infatti numerose le mostre che lo vedono coinvolto. Inoltre dal 2010 vive e lavora tra l'Italia e Praga. Mi sembra che si possa parlare di un interesse e di un amore reciproco. Secondo lei, perché il suo lavoro è così apprezzato in Italia e quali sono state le motivazioni che l'hanno spinta a trasferirsi in Italia?

T.R: L'Italia ha sempre avuto un ruolo importante nella mia vita. C'è stato un momento in cui abbiamo valutato la possibilità di emigrare negli Stati Uniti, New York era la capitale indiscussa delle arti (così come lo fu Parigi). Ma alla fine non siamo partiti, perché mi resi conto di non aver mai visitato l'Italia e i suoi tesori culturali. Allora, un biglietto aereo intercontinentale era significativamente più costoso e questi viaggi erano molto meno comuni rispetto a come lo sono oggi. Pensai, che se avessi scelto di vivere a New York sarebbe stato difficile tornare in Europa se non più di un paio di volte nella vita. Quindi, abbiamo deciso di rimanere nei Paesi Bassi e di iniziare a scoprire l'Italia quando possibile. Sai, l'arte d'avanguardia ha sempre avuto le sue radici nella tradizione, anche se si ribella contro di essa. Sono convinto che senza conoscere l'arte importante, quella stratificata nel corso dei secoli, come l'arte italiana ad esempio, sia impossibile sviluppare una seria pratica artistica.
Per quanto riguarda gli italiani, è chiaramente un popolo che ama le cose belle - prendi il design italiano, per esempio. Oserei ipotizzare che sia questo motivo per cui i miei quadri sono sempre stati apprezzati in Italia. Sono convinto che l'arte sia e debba sempre riguardare la bellezza.
Per rispondere all'ultima domanda, posso dirti che in quanto emigranti e per ragioni legati alla particolare situazione politica, siamo stati classificati come traditori e per questo motivo rischiavamo di scontare in Cecoslovacchia una pena detentiva. Non potevamo tornare lì e per rivedere il nostro Paese e la nostra famiglia abbiamo aspetto fino al 1989. Quando è nata nostra figlia Claudia ci è sembrata una scelta ovvia quella abitare in una seconda casa in Italia per trascorrere li le nostre vacanze.

 

 

Tomas Rajlich, Brigantia, 2002, 220x200cm, acrylic on canvas

 

S.S: Da qualche anno a livello internazionale è cresciuto nuovamente l'interesse per la pittura. Lo slogan più scritto e letto in questi ultimi cinque anni, non a caso è quello di "un ritorno alla pittura". Lei ha dipinto tutta una vita, cosa le suscita questo "ritorno"? Quanto secondo lei questo rinnovato interesse alla pittura è legato al mercato e alla facilità di commerciare dipinti? Quali sono secondo lei i motivi di tanto interesse?

T.R: Come sai, la pittura è stata dichiarata morta molte volte. Questa ricorrente "fine" della pittura è sempre stata seguita dalla rinascita della pittura stessa. Negli ultimi anni, così ci fanno credere i media, stiamo ancora una volta "tornando" alla pittura, ma in verità la pittura non è mai uscita di scena. L'espressione visiva ha fatto da sempre parte della nostra natura: pensa, ad esempio alle prime pitture rupestri come quelle di Lascaux o di Altamira. Nel nostro mondo moderno, questa voglia di esprimerci visivamente ha portato con sé innumerevoli mutazioni e deformazioni che, nella loro natura kitsch e nel loro potenziale manipolativo, mi ricordano fortemente il "realismo socialista" che mi sono lasciato alle spalle emigrando. Ciò non ha nulla a che fare con la bellezza, mentre, come ci insegna la filosofia estetica, la bellezza è sempre stata dalla parte dell'arte e quindi della pittura. Queste novità del mondo dell'arte vanno spesso di pari passo con una tendenza o una moda sociale. Negli ultimi decenni questo ha significato soprattutto un nuovo tipo di pubblico dell'arte: un pubblico cresciuto in un mondo di immagini veloci come quelle dei film di successo, della televisione, dei video games e dei social media. Le nuove generazioni sono più facilmente attratte da queste espressioni visive sorprendenti, perché non hanno la pazienza di pensare all'arte, di contemplare la pittura e di lasciare che la bellezza si dispieghi nell'esperienza. Vogliono un calcio immediato, essere intrattenuti e potersi mettere in mostra. Il mercato dell'arte, come altri mercati, gioca strategicamente su queste nuove esigenze, anche perché una buona parte di questi giovani è oggi ricca. Detto questo, ci sono sempre eccezioni alla regola e sono fiducioso che una parte più "tradizionale" di fare e di pensare l'arte è qui per restare - così come la pittura. Ad Reinhardt, negli anni Cinquanta, ha scritto che "l'arte è arte e tutto il resto è tutto il resto", questa affermazione, secondo me, riassume ancora perfettamente la situazione artistica odierna.

 

S.S: Lei è tra i membri fondatori di Klub Konkretistů, un gruppo avanguardista praghese nato nel 1967 e che si pone sulla scia delle neoavanguardie europee nate qualche anno prima come Azimut (1959) in Italia, ZERO (1960) in Germania e Nul-Groep (1961) in Olanda. Ci sono stati degli scambi tra il vostro gruppo e gli altri tre sopra citati? Quali erano le vostre peculiarità distintive rispetto ai sopra citati colleghi europei?

T.R: Negli anni '60, il totale isolamento della Cecoslovacchia dal mondo occidentale si era un po' attenuato, tuttavia, non eravamo a conoscenza dei recenti avvenimenti sulla scena artistica come Azimut, ZERO o Nul, ma, sapevamo anche noi di dover fare qualcosa. Eravamo tre giovani artisti, più un giovane teorico che lavoravano sulla vena geometrica. Si è trattato di un'azione piuttosto ingenua, basata sulla tradizione costruttivista, ciò nonostante ha portato con sé un vantaggio significativo: ci ha permesso di entrare in contatto con i artisti europei che la pensavano allo stesso modo. Questi artisti ci hanno spedito via posta disegni e stampe da includere nelle nostre mostre collettive. Abbiamo ricevuto, per farti qualche esempio, le opere di: Alviani, Colombo, Munari, Carino, Uncini, dall'Italia, poi di Soto, Morellet, Riley e herman de vries tra l'altro.

 

S.S: Il critico d'arte Alberto Zanchetta scrive che "Vita e Forma" sono due concetti che rispecchiano la filosofia delle sue opere, sono esempi di quella ricerca che viene anche indicata con il termine "pittura-pittura". Zanchetta evidenzia la sua coerenza stilistica e sostiene che se lei non fosse stato un pittore sarebbe potuto essere uno scrittore che lavora sempre allo stesso romanzo, aggiungendo di volta un volta un nuovo capitolo. Zanchetta insiste sul fatto che la parola fine non arriverà mai. Si ritrova in questa lettura della sua ricerca?

T.R: Credo che ci sia del vero in ciò che ha scritto Alberto Zanchetta. Sembra impossibile trovare il "Santo Graal", ma ciò non significa che dovremmo smettere di cercarlo.

 

SS: Il prossimo ottobre verrà inaugurata presso la galleria ABC-ARTE di Genova una mostra che presenterà al pubblico un corpus di sue opere realizzate tra il 1976 e il 1979, conosciute come Black Paintings. Cosa l'ha spinta a ricercare per quattro anni in maniera quasi ossessiva le potenzialità del colore nero?

T.R: I miei dipinti degli anni '60 e dei primi anni '70 erano bianchi, poi grigi, diventando sempre più scuri a causa della stratificazione della pittura sulla griglia. Questa ricerca è emersa nei dipinti quasi totalmente neri con resti della griglia visibili solo attorno ai bordi. I miei ultimi dipinti di quel periodo sono quadrati neri con una superficie liscia eseguiti con lo smalto lucido, dove la griglia è totalmente invisibile. Questi lavori segnano la fine del mio periodo di "non colore" e poiché i colori esistono e possono essere dipinti, ci sono ancora oggi.

 

 

 

Tomas Rajlich, Untitled, 2017, 90x90cm, acrylic on canvas 

 

 

Tomas Rajlich, Untitled, 1972, 60x60cm, acrylic on canvas 

 

 
Installation view, Tomas Rajlich. Opere 1972-2018", villa Brivio, Nova Milanese, 2020

 

 

Simona Squadrito
ATP Diary