L'arte astratta di Tomas Rajlich in mostra a Genova

Vittoria Mascellaro, Artribune, Maggio 13, 2021

IL MUSEO D’ARTE CONTEMPORANEA DI VILLA CROCE A GENOVA RIUNISCE OLTRE OTTANTA OPERE DI TOMAS RAJLICH, ESPONENTE DELL’ASTRATTISMO IN DIALOGO CON LA COLLEZIONE PERMANENTE DEL MUSEO.

 

 

 

 

Nato nel 1940 in Repubblica Ceca, emigrato poi in Olanda, Tomas Rajlich non ha mai nascosto il suo amore per l’Italia. Una passione reciproca, come testimoniato dalle numerose mostre nel Belpaese, inclusa quella inaugurata il 4 maggio al Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce a Genova.

 

IL KLUB KONKRETISTU

Grande interprete internazionale dell’astrattismo, Tomas Rajlich fonda, all’età di 27 anni, il gruppo Klub Konkretistu insieme agli artisti Hilmar, Kratina e al teorico Pohrribny. Il gruppo avanguardista praghese, ispiratosi all’arte costruttivista, si pone sulla scia delle neoavanguardie europee nate qualche anno prima come Azimut (1959) in Italia, Zero (1960) in Germania e Nul-Groep (1961) in Olanda. Nonostante la misconoscenza dei recenti avvenimenti in campo artistico da parte dei membri del Klub Konkretistu, l’azione, definita dallo stesso Rajlich “ingenua”, ha permesso l’incontro con gli artisti europei. Difatti i disegni e le stampe di Alviani, Munari, Uncini, Soto, herman de vries e molti altri vennero spedite via posta al gruppo praghese per essere incluse nelle loro mostre collettive.

 

RAJLICH IN OLANDA

Nel 1969 Rajlich è costretto ad abbandonare la propria terra natale a causa dell’invasione sovietica, così si rifugia nei Paesi Bassi, ultimo Paese europeo che permise l’accesso degli immigrati provenienti dal blocco orientale. L’Olanda, nuova patria dell’artista per oltre quarant’anni, ne accoglie positivamente l’arte. Le opere monocrome su griglie geometricamente regolari sono apprezzate da artisti come herman de vries e Jan Schoonhoven. Rajlich diventa in breve tempo docente alla Vrije Acadamie a L’Aia e nel 1974 tiene personali da Yvon Lambert a Parigi, da Art & Project ad Amsterdam e da Françoise Lambert a Milano.

 

 

LA RICERCA DEL FONDAMENTALE

Nel 1975 i monocromi di Rajlich hanno un ruolo centrale nella mostra Fundamentele schilderkunst allo Stedelijk Museum di Amsterdam, pietra miliare dell’affermazione internazionale della pittura analitica. Rajlich evidenzia qui il suo interesse verso il “fondamentale” in pittura, non diversamente dal lavoro dei pittori minimal americani.
L’artista ceco lavora sulla modulazione della pittura sulla tela, a cui conferisce lo statuto di vivente. L’interesse per il colore, la luminosità, l’intensità e la vivacità dell’opera si combinano al suo interesse per l’impersonale, il gesto e la forza della luce. La coerenza artistica di Rajlich gli ha permesso il riconoscimento, nel 1994, dall’Haags Gemeentemuseum, che nello stesso anno ha ospitato la seconda retrospettiva a lui dedicata (la prima si svolse nel 1993 a Palazzo Martinengo a Brescia), con il Premio Ouborg per la sua carriera.

 

LA MOSTRA A GENOVA

La progressiva indagine verso il “fondamentale” è documentata nella mostra Make it new! Tomas Rajlich e l’arte astratta in Italia. Oltre mezzo secolo di ricerca si dirama sui due piani del museo, dagli esordi scultorei degli Anni Settanta ai lavori più recenti. L’ampia retrospettiva non dimentica gli incontri fortunati che l’artista ceco ricorda lungo il suo percorso. Scelti dallo stesso Rajlich, i rappresentanti dell’arte aniconica italiana mostrano la sintonia artistica dell’asse Cecoslovacchia – Italia. In una dinamica di sguardi, le tele di Rajlich fungono da cornici alle sculture di Arnaldo Pomodoro, Lucio Fontana, Nanni Valentini, Pietro Consagra, Bruno Munari e dello stesso artista ceco.

 

 

RAJLICH E L’ITALIA

Il gioco di sguardi prosegue al secondo piano, dove il colore svolge un ruolo predominante. Le opere più recenti, caratterizzate dalla variazione di intensità e luminosità, dialogano con le tele di Claudio Verna, Riccardo Guarneri, Giorgio Griffa, Claudio Olivieri.
La ricerca radicale compiuta sull’astrazione, così come l’uso minimalista del colore, accomuna le personalità eclettiche inserite in questa narrazione, definita da un percorso innovativo, in cui le opere della collezione permanente, poste in relazione con quelle dell’artista ceco, non seguono uno schematismo didattico. Ne è un tratto evidente il rifiuto di realizzare un racconto cronologico. Difatti i primi lavori di Rajlich, caratterizzati da un aspetto industriale e da una qualità modulare, persistono nell’itinerario espositivo, come se fungessero da punti fermi dell’intera rassegna. Un rimando continuo tra le Attese di Fontana e l’Achrome di Piero Manzoni.
Un’occasione per Villa Croce, non solo di ripartire e aprire nuovamente le sue porte, ma anche di mostrare le opere della collezione permanente. Un progetto curatoriale solido che non manca di ammettere il divenire di questa narrazione, le cui caselle mancanti servono da incentivo per raccontare un periodo artistico la cui eredità è tuttora vitale.

 

Vittoria Mascellaro