Alan Bee, Pitture – ABC-ARTE

Andrea Rossetti, Exibart, Luglio 28, 2022
 
L'artista del mistero arriva direttamente dalla Germania. Dolce come il miele, pungente come un'ape, Alan Bee è da ABC-ARTE per la sua prima personale.



Il mistero aleggia intorno al nome di Alan Bee (Karlsfeld 1940; Monaco di Baviera 2018), pseudonimo adottato da un uomo di finanza tedesco per mascherarsi da eroe della pittura contemporanea. Quest’ultima infatti è tra le sue più spiccate passioni, cui si è avvicinato prima di tutto da fine collezionista. Poi c’è quella per un insetto, l’ape, che gli ha dato il cognome e l’impronta mixed media caratteristica dei suoi lavori. Usciti allo scoperto, per assoluto volere del business man-artista, solo post passaggio verso l’altro mondo.

Ora c’è da capire se dietro a questo Batman teutonico ci sia anche della sostanza. Perché in fin dei conti proprio questa andiamo cercando a Genova, alias Gotham city, dove ABC-ARTE ha prodotto per la prima volta una scorrevole personale – curata da Flamino Gualdoni – interamente dedicata a Bee. La cui opera, possiamo anticipare, è la giusta via di mezzo tra un oggetto molto pensato e uno molto decorativo.




Miele e percezioni. La pittura di Alan Bee

Nomen omen su ordinazione. Manco a dirlo, Bee usa il miele in quegli impasti che in mostra passano sotto il nome – fin troppo – generico di “tecnica mista”; questo restituisce all’occhio delle superfici cerose, grasse. Che avvolgono la sotto-struttura in filo metallico a motivo esagonale, riproducendo l’effetto del favo. Altro riferimento mirato, particolarmente spinto in lavori come i tre Genesis del 1979, dove il colore caldo-terroso della materia si unisce al nero della bruciatura superficiale.

È con questa rivisitazione – intesa in senso lato – della tecnica dell’encausto, che Bee si avvia diretto alla costituzione per sovrapposizione di textures. Di percezioni visive sarebbe più esatto dire, qualcosa che non ha formulazione univoca (utilizzando la soggettività visuale dell’informale) e costituisce un oggetto di devozione tutta personale. Tre lavori mettono davanti a tre strade differenti, ugualmente incombenti: l’elemento centrale di un polittico medioevale nord-europeo (telaio ad arco acuto), una tipica pala d’altare rinascimentale (telaio ad arco a tutto sesto), un pezzo di razionalità da Astrazione post-pittorica stile Frank Stella (telaio quadrato).



Dalla creazione alla distruzione di un sistema

Anche in altre occasioni, con lavori idealmente meno solenni o impegnati, il “sottofondo metallico” dell’esagono resta un marchio di fabbrica. Marchio tuttavia modulabile, mai standardizzato nella sua realizzazione, esempio di un’astrazione geometrica ragionata nell’adattarsi – infittendosi o allargandosi – in base al lavoro. Eclissandosi in certi casi, come nella sublime attrazione materica della serie Swarm, anno 1980; o in alcune tra le piccole tavolette della serie Animamundi, con la stessa datazione e dove la varietà cromatica pare un impianto a sé, inseritosi bene in mezzo alla sotto-struttura metallica e quella superficiale della bruciatura. Tre distinti piani attuativi, cui se ne associa un’ulteriore: la craquelure. Scuola Alberto Burri, con un grande cretto per piccole superfici, in cui ogni frattura è racconto dell’attenzione di Bee per una pittura pensata come forza generatrice di materia, come un sistema concreto e in un certo senso autodeterminato.

Quello stesso sistema che, nelle policromie del nuovo Millennio, sembra essere allegramente arrivato al capolinea. I lavori intitolati Freedom sono colorati. Accattivanti e dinamici, molto dinamici. Tanto da essere opere al collasso, con quel colore piangente, colante e in piena perdita di consistenza. Sono la deformazione senza freni di un favo, l’estrema ratio di un sistema strutturale portato al limite della sua regolarità.