L'AGENDA DELLE MOSTRE DA VEDERE QUESTA SETTIMANA

10 appuntamenti con l'arte e la fotografia da non perdere
Silvia Airoldi, Elle Decor, Febbraio 10, 2024
L'agenda delle mostre di questa settimana sfodera l'arma 'seduttiva' della molteplicità dei temi espositivi prospettati. Tra gli appuntamenti di febbraio spiccano una mostra incentrata su uno dei principali protagonisti della scena artistica degli anni Sessanta, ma anche la personale di una interprete contemporanea che, attraverso le sue opere, avvia una riflessione sul femminile, sulla dimensione spirituale e mistica della realtà. E ancora, le proposte di questo mese includono la mostra di un artista focalizzata sul dialogo tra immagini e parole, sulla dimensione del tempo e sul valore della memoria e una collettiva che fonde le narrazioni diverse di tre autori nel comune linguaggio dell'arte figurativa. Il progetto espositivo di una pittrice appare come un sogno dell'uomo sulla vita e sulla natura in cui concetti di astrofisica e astrobiologia si proiettano sulla pittura. Poi, ci sono le atmosfere fiabesche di un altro artista che nella sua pratica pittorica opera con la natura e una interprete del panorama contemporaneo che, attraverso i suoi lavori, indaga il mito, la fiaba di tradizione nord-europea e il tema del mascheramento. Infine, nella lista delle mostre di inizio febbraio, tre sono dedicate a grandi protagonisti della fotografia, autori di immagini 'senza tempo'.
Robert Capa e Gerda Taro: la fotografia, l’amore, la guerra, Torino
La stagione espositiva a CAMERA si apre il 14 febbraio con tre mostre dedicate a grandi protagonisti della fotografia, autori di immagini 'senza tempo'. L'esposizione "Robert Capa e Gerda Taro: la fotografia, l’amore, la guerra", a cura di Walter Guadagnini e Monica Poggi ripercorre il rapporto professionale e sentimentale tra Robert Capa e Gerda Taro, interrotto dalla morte della fotografa in Spagna nel 1937, attraverso oltre 100 scatti dei due fotografi. Tra e Capa si incontrano a Parigi nel 1934, lei fuggita dalla Germania nazista, lui emigrato dall’Ungheria e l'anno successivo segna l'inizio del loro sodalizio artistico e di vita. I due fotografi hanno documentato la guerra civile in Spagna (1936) non solo da un punto di vista del reportage sul conflitto, ma hanno puntato l'obiettivo sulla vita quotidiana dei soldati, delle soldatesse - famoso lo scatto di Taro a una miliziana in addestramento, pistola puntata e scarpe con i tacchi che propone uno sguardo inedito sulla guerra fatta dalle donne - e sulla popolazione drammaticamente coinvolta. E ancora, le loro fotografie ritraggono gli scioperi nella capitale francese e le elezioni in Spagna vinte dal raggruppamento antifascista del Fronte Popolare, ma anche il convegno Internazionale degli scrittori antifascisti a Valencia. Il percorso espositivo tra 'fotografia, guerra e amore' include anche la riproduzione di alcuni provini della celebre 'valigia messicana', contenente 4.500 negativi scattati in Spagna da Taro e Capa e dal loro amico e sodale David Seymour, detto Chim. La valigia era stata affidata da Capa a un amico perché il contenuto non fosse distrutto dalle truppe tedesche, ma di essa si erano perse le tracce nel 1939. Solo nel 2007 la valigia viene ritrovata a Mexico City, permettendo l'attribuzione corretta di una serie di immagini di cui fino ad allora non era chiaro l’autore o l’autrice. Fino al 2 giugno.
 
Ugo Mulas / I graffiti di Saul Steinberg a Milano, Torino
In questo secondo progetto espositivo di CAMERA, "I graffiti di Saul Steinberg a Milano", curato da Archivio Ugo Mulas e Walter Guadagnini, le fotografie di Mulas permettono, uniche, di farci rivedere un bellissimo lavoro di Saul Steinberg andato distrutto. Nel 1961, il grande disegnatore e illustratore esegue una bellissima decorazione a graffito dell’atrio della Palazzina Mayer a Milano, su commissione dello Studio BBPR che ne seguiva la ristrutturazione. E l'allora giovane fotografo Mulas è incaricato di documentare l'opera completa e i suoi dettagli. Quegli scatti rimangono l'unica testimonianza della decorazione, ricomposta nella sua interezza appunto in mostra, perché nel nuovo intervento di restauro della Palazzina, nel 1997, i graffiti di Steinberg andranno definitivamente perduti. Fino al 14 aprile.
 
Michele Pellegrino. Fotografie 1967-2023, Torino
La terza mostra presentata a CAMERA è dedicata a Michele Pellegrino, a cura di Barbara Bergaglio e con un testo di Mario Calabresi, esprime un sintesi del percorso artistico del fotografo piemontese: 50 fotografie che raccontano le montagne, le ritualità,i volti e i momenti del mondo contadino. Il progetto espositivo include anche una selezione digitale. Fino al 14 aprile
 
Mario Schifano. Correre rapinoso attraverso le cose del mondo, Genova e Milano
ABC-ARTE presenta nella sede storica di Genova, con un'appendice nello spazio autonomo milanese, ABC-ARTE ONE OF, una mostra incentrata su uno dei principali interpreti della scena artistica degli anni Sessanta, Mario Schifano. Nel progetto espositivo sono riuniti un nucleo di 29 monocromi su carta e rare diapositive e fotografie. Schifano porta all'interno della sua opera la visione della realtà e il quotidiano che diventano protagonisti del suo lavoro. Come espresso nel titolo, il senso del divenire pervade le sue opere attraverso la cattura di immagini, statiche o in movimento; Schifano dimostra una agilità felina e ferina nel cogliere l’attimo della vita (era definito il 'puma' da Goffredo Parise). Fin da subito la sua fedele compagna è la macchina fotografica, così che la visione schermica, intesa come elemento strutturale e concettuale, diventa essenziale nella pittura di Mario Schifano, insieme al cinema, altro paradigma importante. Oltre ai monocromi, creati con grandi campiture di colore, uniforme, aggregato e disgregato da una stesura a smalto che cola e supera il bordo dello schermo, è esposta una selezione della immensa produzione fotografica di Mario Schifano. In particolare sono proposte le foto scattate tra il 1963 e il 1970, anno del viaggio on the road in America con Nancy Ruspoli (tratte dal fondo fotografico di Rinaldo Rossi, amico e sodale di Mario Schifano), immagini dalle molteplici prospettive, con tagli e inquadrature che riflettono una voracità visiva inarrestabile. In collaborazione con l'archivio Mario Schifano. A Milano fino al 6 aprile 2024; a Genova dal 15 febbraio al 15 giugno.
 
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Chiara Camoni. Chiamare a raduno. Sorelle. Falene e fiammelle. Ossa di leonesse, pietre e serpentesse, Milano
Apre il 15 febbraio negli spazi di Pirelli HangarBicocca la personale di Chiara Camoni, a cura di Lucia Aspesi e Fiammetta Griccioli. Nella mostra, la più ampia a oggi presentata, sono riunite nuove opere, concepite e realizzate per l'occasione espositiva, e lavori storici, che propongono una riflessione sul femminile, sulla dimensione spirituale e mistica della realtà. Camoni nella sua pratica artistica utilizza molteplici linguaggi espressivi, come il disegno, le stampe vegetali, la scultura e la ceramica. Il progetto espositivo trae ispirazione nelle forma dal giardino all’italiana tardo-rinascimentale e dagli anfiteatri antichi. Il disegno della pianta, simmetrico e radiale, origina ambienti e strade che dividono lo spazio dello Shed in aree dove i visitatori possono fermarsi e dialogare. Il progetto si sviluppa intorno al centro, vuoto e cuore espositivo, con le opere esposte come sugli spalti di un'arena, quasi si trattasse di uno spettacolo. L'ambiente diventa un paesaggio materico in cui il confine tra architettura, scultura e oggetto diventa sempre più sottile e ambiguo. La luce diurna alle finestre, aperte per l'occasione, compone con l'oscurità serale un ritmo vivificante. Nella sua produzione, Camoni usa oggetti appartenenti al mondo domestico o elementi organici; inserisce nelle sue sculture erbe, bacche e fiori, ma anche diversi tipi di argilla e ceneri che colorano in modo naturale e distintivo le sue opere, richiamando la terra e la vegetazione. Quindi i suoi lavori sono riassemblati attraverso azioni rituali, fortemente legate a mondi ancestrali e arcaici, con l'intento di esplorare il rapporto con l’artigianato e la sfera spirituale. La dimensione collettiva, invece, altrettanto importante nella sua ricerca, si esprime nelle collaborazioni con amici e parenti, workshop e seminari di cui si serve per la realizzazione dei suoi lavori. Il titolo della mostra, che richiama un componimento in versi o un incantesimo, rimanda a una formularità magica, che invita il pubblico a immergersi in una dimensione arcaica e misteriosa, e allo stesso tempo anticipa elementi e immaginari della pratica dell'artista, evocati e convocati insieme da quelle parole. Fino al 21 luglio.
 

Gianluigi Colin. Post Scriptum, Milano

Ospitata negli spazi di BUILDING, la personale "Post Scriptum" di Gianluigi Colin, a cura di Bruno Corà, presenta un corpus di 34 opere inedite, dipinti di grandi dimensioni realizzati dall'artista in questi ultimi tre anni. I lavori in mostra originano dalla ricerca concettuale avviata da Colin a partire dal 2011, focalizzata sul dialogo tra immagini e parole e, in particolare, sul sistema dei media, sulla dimensione del tempo e sul valore della memoria. Le opere astratte esposte sono cariche di sedimentazioni cromatiche, di striature ripetute, di campiture che si dilatano nello spazio. Per la realizzazione di questi lavori, Colin si serve di grandi tessuti utilizzati per pulire le rotative di quotidiani e di stabilimenti di arti tipografiche, rivelando come la sua ricerca concettuale sia strettamente legata e si relazioni alla sua storia personale (Colin, tra le altre cose, per molti anni è stato art director del Corriere della Sera). “L’insieme dei miei lavori, volutamente scelti per questa mostra dai toni drammatici, con rossi intensi, sfumature di nero, striature nere su fondi bianchi o azzurri, si presentano come simbolo di un oblio incombente, inquietante e minaccioso. Un senso di costante indifferenza e dimenticanza che purtroppo appartiene al momento storico che viviamo. Le mie opere si confrontano con uno spazio interiore, ma parlano di una dimensione collettiva”, sono le parole di Colin. Fino al 23 marzo.

 

Pietro Fachini. Racconti dalle terre piumate, Milano

ArtNoble Gallery accoglie la personale di Pietro Fachini, a cura di Arnold Braho. Il progetto espositivo, che evoca fin dal titolo atmosfere fiabesche, si presenta come una cosmogonia di racconti che compongono l'immaginario visivo di una terra, dove boschi di sughere, piccoli insetti e piume policrome rappresentano le forze in atto di una dimensione selvatica. L'espediente narrativo utilizzato è di raccontare ancora una volta un soggetto naturale continuamente espropriato, un organismo vivo composto da micro-storie, tracce, memorie e registrazioni in continuo mutamento.Nell'idea di Fachini la pratica pittorica diventa uno strumento di ricerca, accompagnata da una meticolosità scientifica che approda alla presentazione di una natura in trasformazione, attraverso modalità rappresentative di carattere organico. In particolare, l'artista italiano, che vive e lavora tra Milano, la Sardegna e Leticia (Colombia), effettua studi sul pigmento ed è sempre orientato ad apprendere nuove modalità di produzione del colore - attualmente indaga le terre coloranti in Sardegna e i pigmenti organici nell’Amazzonia colombiana e in Messico - oltre a interessarsi alla ricerca del soggetto vivo da rappresentare. Così che si può dire che Fachini operi con la natura, più che nella natura. Nei lavori esposti, la memoria, intesa come operazione dell'immaginazione, svela le possibilità di un mondo selvatico costituito da apparizioni, allegorie dalle sembianze magiche, ferocia. Ogni fatto diventa interpretabile e risolvibile in termini di metamorfosi e incantesimo. Tutto ritorna possibile, è andata perduta la logica che governa il mondo: le piume adornano il bosco. Fino al 21 marzo.

 

Anastasiya Parvanova. Sidereal Messenger, Venezia

Uno spazio liminale tra il sogno e il risveglio. È "Sidereal Messenger", la mostra di Anastasiya Parvanova ospitata alla galleria A plus A che appare come un sogno dell'uomo sulla vita e sulla natura in cui concetti di astrofisica e astrobiologia si proiettano sulla pittura. Il titolo richiama il trattato di Galileo Galilei, Sidereus Nuncius, incentrato sulle scoperte concrete fatte dallo scienziato con un cannocchiale da lui stesso costruito. I lavori esposti dell'artista bulgara compongono “una brezza mattutina di conoscenza davanti a noi, un portale per l'arrivo del nuovo”, come si legge nel testo che accompagna la mostra. “C’è qualcosa di più grande di noi e noi siamo intrecciati ad esso. Nella pittura come nella scienza, esploriamo questa connessione di noi stessi con tutto. Interessandoci alle scoperte o alle teorie legate alla fisica — il nostro modo scientifico di conoscere la natura — troviamo una ricchezza infinita di conoscenza attraverso cui viaggiare. Essere un viaggiatore della mente ci aiuta a capire chi siamo e cosa possiamo essere. Un continuo ridisegnare il mondo, ma partendo dal passato. Siamo alla continua ricerca di un’immagine del mondo che funzioni meglio di prima”, si legge ancora. Ecco quindi le domande . Che cos’è la materia e c’è qualcosa oltre a essa? Possiamo vederlo? attraverso la scienza? attraverso l’arte?”. Fino al 29 marzo.

 

Mons Jorgensen. This is not a fairytale, Bologna

Mons Jorgensen, artista multidisciplinare olandese di base a Londra, è la protagonista della personale, la prima in Italia, presentata da Spazio b5 Studio Store Creativo, nato dall'idea di Lorena Zuniga Aguilera, architetto e Michele Levis, fotografo. Il progetto espositivo include opere pittoriche di grande formato, fotografie in bianco e nero, cortometraggi, sculture in argilla polimerica e corda, accompagnati da performance, che indagano il mito, la fiaba di tradizione nord-europea e la maschera, tema conduttore dell'esposizione. “L'artista ha deciso di esprimersi in una sorta di linguaggio minore, che potremmo definire dialettale o addirittura vernacolare”, scrive Marcello Tedesco nel testo critico della mostra, mostrando una grande fluidità linguistica che assume forme in continua mutazione, refrattarie a rigide categorizzazioni. Il lavoro di Jorgensen, che attinge a una memoria ancestrale collettiva filtrata dalla sua sensibilità personale, si esprime attraverso immagini spesso bidimensionali, frontali e caratterizzate da un impianto compositivo dove tutto avviene ipnoticamente al centro, con allusione, forse, alla misteriosa potenzialità delle immagini di poter essere soglia verso una dimensione trascendentale. Ne deriva da parte dell'artista una concezione sacrale, come se i suoi dipinti e le fotografie fossero icone contemporanee, veicoli per accedere a un altrove dove le cose non assumono la loro identità fissa ma vivono in una perpetua metamorfosi. Si inquadrano in questo senso l'interesse di Jorgensen per l'alter-ego,il mascheramento e l’interazione sensuale tra mondo vegetale, animale e umano e la dimensione mitica, di cui si avvale l'artista, che fa riferimento al significato originario del mito, un linguaggio creato per rendere sopportabili verità che altrimenti non riusciremmo a tollerare. “Questa serie di opere nasce in un bosco antico dove mi sono trovata a indossare una maschera cieca. Una volta perso il contatto visivo con l’esterno, la mia immaginazione ha preso il volo [..] ho capito che ciò che stava accadendo nella mia mente, accesa da quella maschera che mi copriva il volto, era molto più interessante di tutto il resto. Ed è questo che vorrei restituire a chi verrà a trovarmi a Bologna”, racconta l'artista. Fino al 24 febbraio.

 

Franco Fasoli, Timm Blandin, Jean Bosphore. Ordinary Perspectives, Bologna

MAGMA gallery ospita la mostra "Ordinary Perspectives" dove si fondono le narrazioni diverse di tre artisti, Franco Fasoli, Timm Blandin e Jean Bosphore, nel comune linguaggio dell'arte figurativa. A emergere sono la potenza e l'uso di colori forti, decisi, talvolta in contrasto tra loro, per rappresentare visioni del mondo altrettanto definite. I lavori di Bosphore, artista multidisciplinare che vive e lavora a Parigi, rimandano a una concezione del mondo distopica, futuristica. La sua indagine dell’umanità si rivela una critica della società contemporanea. Anche l'opera di Fasoli, noto come Jaz e considerato uno degli artisti più conosciuti e talentuosi della scena argentina, è orientata alla denuncia. Nella sua pratica esprime il confronto-scontro tra culture diverse, le contraddizioni che nascono in seno alle società, così come riflessioni basilari sul concetto di identità individuale e collettiva. Blandin, artista francese che predilige paesaggi e ritratti colorati e surreali, propone un altro punto di vista: la banalità del quotidiano si eleva a status di arte, ricordando quanto preziose siano le cose più semplici. I racconti visivi degli artisti 'parlano' il linguaggio dell'onirico, utilizzando immagini di paesaggi sospesi e sognanti che abitano una dimensione indefinita, tra sogno e realtà. Serve un osservatore esterno per essere completata e letta, lo spettatore, che diventa il quarto elemento della conversazione artistica, contribuendo, con i suoi sensi, al processo di creazione delle opere e alla costruzione del loro significato. Fino al 30 marzo.