Shoshana Walfish
“Vischioso”
A cura di Domenico de Chirico
È a questo momento sospeso e ardente – quando la lava, appena emersa dalle viscere della terra, respira prima di solidificarsi, dando forma a un nuovo stato, contorto e al tempo stesso compenetrato tra interno ed esterno – che si assiste di fronte alle opere pittoriche di Shoshana Walfish: creature nuove, fulgide e vibranti, figlie del mondo e del loro stesso divenire. Vischiose, dense ma non troppo, sospese, pulsanti, perennemente cristallizzate nell’istante di una concretizzazione mai completa, le visioni di Walfish accolgono e inglobano tutto ciò che incontrano, abilmente ricolme di astute e languide pennellate che, come lingue assetate, assaporano e disintegrano i confini dell'incarnazione dell'essere. Al nostro cospetto ogni cosa sanguina o trasuda, il reale e il surreale depongono le loro armi verso uno stato di mezzo in cui la corporeità regna sovrana. In siffatto proscenio, il disfacimento della figura originaria, di cui resta solo un occhio, una mano, una piega o un lembo di carne, porta con sé un'impronta post-strutturalista, come rifiuto di un'identità prestabilita e canonica.
La carne diventa protagonista indiscussa, una carne senziente attraverso cui si compie l’esperienza del mondo. Il corpo diviene mero processo, non più una struttura chiusa, bensì un campo aperto, talvolta disarticolato, attraversato da forze, flussi, diramazioni e pulsioni, una superficie incandescente, desiderante e perpetuamente in trasformazione. L'opera rinuncia così alla totalità e abbraccia il frammento come la forma più autentica del divenire. È qui che la fenomenologia, nella sua declinazione queer, trova la sua piena espressione: i corpi, influenzati dal contesto, allo stesso tempo lo influenzano. Lo sfondo non è più uno spazio neutro; il corpo si frammenta e diventa parte di un percorso più ampio, che si interroga su cosa significhi veramente abitare il corpo stesso.
La riflessione sul rapporto tra spazio e corpo risulta quindi centrale, poiché essi sono co-originari, interdipendenti e si costituiscono vicendevolmente nell’esperienza vissuta. Il corpo non risiede semplicemente in uno spazio oggettivo, ma è ciò attraverso cui lo spazio appare nella sua vera natura: significativo, orientato, praticabile.
Ogni cosa respira, la stratificazione è inattuabile, e il collasso dei confini tra sfondo e superficie è eclatante. Gli elementi simbolici diventano strumenti di sovversione, attraverso cui viene restituita centralità all'esperienza corporea. Con “Vischioso” si entra in una vera e propria ontologia della carne, intesa non solo come materia viva, ma come tessitura capillare del reale, come principio di intersoggettività e co-appartenenza.
La sensazione, percorrendo le visioni pittoriche di Shoshana Walfish, è quella di una fusione equanime, seppur arzigogolata, di elementi che si necessitano a vicenda, poiché, in quanto corpi, respirano, sudano, si osservano, si annusano e si espongono l’uno all’altro. Qui, ogni cosa influenza l’altra, prendendo parte a una danza trasformativa che sembra non avere mai fine.
La luce di queste opere, talvolta traslucida, altre volte offuscata, è sempre di natura soprannaturale. Questa dimensione eterea permea ogni aspetto dell’opera dell’artista. Un’atmosfera inquietante, talvolta invereconda, si manifesta come un alito che mormora nella mente e nello spirito, spingendoci verso uno stato liminale che oscilla costantemente tra la bruma e il lucore. È la personificazione di una riflessione sull’imminente vischiosità dell'esistenza, quell’ombra minacciosa di tutto ciò che è irrimediabilmente ineluttabile.
Anche nelle opere che irradiano vitalità e luminosità, si cela un’esplorazione intima della fragilità del corpo, visto come contenitore effimero, fragile e intricato, che al contempo richiama la bellezza dei cicli naturali di crescita e declino, permanenza e oblio.
È una visceralità fluida e al tempo stesso concreta quella che caratterizza questa serie di dipinti, i quali sembrano bruciare silenziosamente, come fatti di una lava percettiva, organica e voluttuosa. La tavolozza cromatica – che spazia dalle tonalità incandescenti del rosso, dell’arancio e del giallo, fino alle sfumature umide del verde muschio – pur apparendo indurita e solidificata, resta costantemente aperta, impregnata di resistenza e dissoluzione: mostra e assorbe, germoglia e arde, proprio come il processo di incarnazione, di cui è voce e strumento ineluttabile, nell'antitesi tra una mela e un teschio. Pertanto, in questo continuo oscillare tra il definito e l’indefinito – al di là dei margini della coscienza – “Vischioso” si erige a encomio di quel fuoco che Eraclito definiva arché, il principio originario da cui tutto scaturisce.